giovedì 29 marzo 2012

La vita ridotta all'osso


La vita ridotta all’osso ricorda molto Un anno a impatto zero di Colin Beavan. 

Protagonisti due uomini con un’età compresa tra i 35-40 anni, sposati e con una figlia piccola a carico, residenti in grandi città del mondo occidentalizzato (Londra per Hickman e NY per Beavan). A un certo punto entrambi, punzecchiati dal senso di colpa, vengono colti da una specie di crisi di mezza età: “Quanto incidono le mie scelte di vita e di consumo sull’ambiente? Cosa posso fare concretamente per vivere in maniera ecosostenibile? Che posso fare per sottrarmi al consumismo sfrenato che ormai monopolizza le vite del mondo occidentale?”.
«L'ironia del nostro stile di vita occidentale, naturalmente, non consiste nella beata ignoranza dell'impatto negativo che ha su di noi, sui nostri vicini e sull'ambiente, ma nel fatto che scegliamo di andare avanti nonostante tutto, accecati da una comoda nebbia di inerzia e apatia.» (pg. 6)
Inizia così un progetto lungo un anno in cui le loro abitudini vengono scandagliate, sezionate e soppesate e sostituite con pratiche dall’impatto ridotto.
Vengono coinvolte nel progetto anche le mogli: sia Jane che Michelle sono descritte come delle malate di shopping, riluttanti a rinunciare alle comodità della vita moderna e sempre pronte a storcere il naso di fronte a qualsiasi idea dei loro compagni.
Insomma il ritratto della controparte femminile non è molto lusinghiero, eppure la mia esperienza su questa tematica dica esattamente il contrario: le donne che hanno deciso di dare una svolta green alle loro esistenza sono molto più numerose delle donne rispetto agli uomini (come GreenKika, Paola Maugeri, Kia...).

Mentre Beavan cerca di costruirsi un percorso da solo, affidandosi una tantum a personaggi competenti, Hickman si affida a un manipolo di consulenti che entrano nella sua villa a schiera vittoriana, valutano ogni angolo delle stanze, eseguono un’analisi del ciclo di vita di tutto ciò che si trova in casa ed emettono rigorose sentenze. Nulla sfugge al loro radar anti-eticità: elettrodomestici, scelte d’acquisto, alimentazione, vestiti, cosmetici, vacanze, consumi d’energia e d’acqua, banca d’appoggio, attività per la comunità.

Hickman può contare anche sull’appoggio dei lettori del Guardian, quotidiano inglese per cui lavora, che condividono con il giornalista le loro storie di cambiamento, ma anche le difficoltà incontrate nel tentativo di crearsi un’esistenza più etica.
Quest’ultimo punto è di grande conforto a Hickman che nel libro confessa quanto l’asperità del percorso intrapreso l’abbia più volte portato al limite, a un passo dalWhat the fuck! Who cares!”.
“È che ci sono troppe cose da ricordare: i chilometri, gli imballaggi inutili, la stagionalità, il benessere degli animali, il vegetarianismo, i residui di pesticidi, le buste di plastica sprecate, gli OGM, le multinazionali da evitare.” (pg. 42)
E poi le preoccupazioni per il lombricaio; l’omicidio di un ratto (forse) attratto dalla compostiera; le lotte con i pannolini lavabili (peccato non abbiano affrontato l’argomento assorbenti lavabili e mooncup, ma immagino che la schizzinosa Jane sarebbe rimasta pietrificata di fronte a questa opzione); il senso di colpa per le tonnellate di Co2 emesse con un viaggio in aereo; le difficoltà per una famiglia con bambini piccoli nell’usare i mezzi di trasporto pubblico e l’alto livello di sopportazione necessario per non mandare a quel paese i passeggeri sbuffanti; sentirsi dare dello spacciatore dal farmacista per aver richiesto una grande quantità di bicarbonato di sodio; la crisi di coscienza di fronte a una costata...

Forse Hickman è meno estremista del collega Beavan: non è disposto a rinunciare a tutto per vivere in maniera perfettamente etica e sostenibile (soprattutto quando questo significa mettere in pericolo la vita della figlia) e non può sempre permettersi di spendere mucchi di pounds per mettere in pratica tutti i consigli del suo team di esperti. Tutte le sue paranoie, i suoi dubbi e la sua paura di finire ammazzato dalla moglie (LOL) lo rendono umano e simpatico.

Ma non prendete questa frase come uno sventolio di bandiera bianca. Nossignore!
La sua lezione finale è che “ognuno di noi deve trovare il proprio percorso. Detto così sembra ovvio, ma è il modo di affrontare la vita facendo del proprio meglio. Non c’è un modo migliore o peggiore di arrivarci, purché partiamo tutti insieme.”

Quindi non nascondiamo più dietro scuse false e vuote. Non lasciamo che le buone intenzioni rimangono solo aria fritta! Certo, nessuno dice che agire e cambiare le proprie comode e regolari abitudini sia semplice. Ma abbiamo un solo pianeta ed è messo pure maluccio.
Iniziamo con una semplice azione come dire “No grazie” alla commessa che vuole mettere il nostro piccolo acquisto in un inutile sacchetto di plastica oppure riutilizzare la stessa bottiglia di plastica più volte; vedrete che poi la vostra empatia nei confronti del mondo comincerà a crescere e il resto verrà da sé.
“Credo nel principio di pensare globalmente e agire localmente e non mi aspetto che il mondo cambi dalla notte al giorno. Gli arrabbiati che puntano il dito contro gli altri mi irritano. Non credo nei cambiamenti sociali costosi, difficili o che dipendano dal fatto che gli altri cambino le loro abitudini per adattarsi a te. Preferisco dare l’esempio piuttosto che assillare, anche se significa a volte farsi ridere dietro o sopportare lo scherno del parentame ignorante. Cambiare la mia vita è stato liberatorio e mi ha arricchito. Sono fiera delle mie scelte e delle mie azioni. Sento di avere un significato.” (lettera di Christina Reitano, pg. 114)

Dettagli
"La vita ridotta all'osso"
di Leo Hickman
Editore: Ponte alle grazie
Data di pubblicazione: 2007
Pag. 268
Prezzo: 16,00€

martedì 20 marzo 2012

Buon equinozio di primavera

Spring!!! by Eleonora F.
Spring!!!, a photo by Eleonora F. on Flickr.

Sto preparando un nuovo esame.
No, non sono ritornata all'università ma sto studiando per diventare una guardia ecologia volontaria, quindi mi ritrovo di nuovo con la testa china su schemi e slide e poco tempo per scrivere.

venerdì 9 marzo 2012

I link della settimana #4


Oggi iniziamo da chi pensa che i minimalisti, i fautori della decrescita, i downshifter (chiamateli come preferite) siano persone egoiste.
Mi viene un po' da ridere leggendo questa definizione, visto che bazzicando il mondo minimalista italiano (e statunitense) non potrei trovare un aggettivo più distante di questo per definirlo.
Al contrario, le donne e gli uomini aderenti al "movimento" minimalista hanno a cuore il futuro del Pianeta, della società, della felicità delle altre persone. E anche della loro ovviamente, ma il loro pensiero e il loro raggio d'azione è a 360° gradi. Sono persone che non stanno chiuse nel loro guscio, ma cercano di innescare riflessioni importanti e di proporre soluzioni alternative concrete.
Nessuno dice che sia semplice. In fondo molti di noi sono cresciuti in condizioni agiate, viziati e coccolati da genitori e parenti, e abituati a ottenere tutto subito. Tuttavia i tempi stanno cambiando, sbattendoci in faccia l'insostenibilità del nostro stile di vita e imponendoci un cambiamento.
Io ci sto provando, anche se la strada da fare è ancora lunga. Ma sono convinta di star facendo la cosa giusta!

C'è chi ha pensato di rispondere a tono al sig. Pascale come Emma e Mariaelena con Egoiste della descrescita? Sì grazie e Maurizio Pascale con Risposta ad Antonio Pascale.

A questi articoli aggiungo le parole di Leo Babauta, che traduco per voi:
Uno dei pilastri del minimalismo è l'eliminazione di tutto ciò che non è necessario per lasciare spazio a ciò che è importante.Se non hai bisogno di una tonnellata di vestiti, te ne liberi. Se non hai bisogno di quel nuovo gadget, non lo compri.Impari ad essere soddisfatto di ciò che già hai, dei beni di prima necessità, delle cose che ami fare piuttosto che possedere.
Anche il video in cima al postThe High Price of Materialism (Il caro prezzo del materialismo), cade a fagiolo:  nel filmato lo psicologo Tim Kasser spiega come la cultura del consumismo americano (ma io direi del mondo occidentale) mina il nostro benessere. Quando la gente accetta supinamente gli onnipresenti messaggi pubblicitari secondo cui per vivere bene bisogna comprare oggetti, non solo sta consumando le limitate risorse del pianeta, ma è anche infelice e meno incline ad aiutare gli altri.
E se lavorassimo tutti insieme per trovare soluzioni che ci permettano di vivere in un modo più sano e sostenibile? Vi stuzzica l'idea? :)

Cambiando completamente argomenti, vi lascio con le parole di Michele Serra sul tristemente noto delitto passionale, da lui meglio definito come nazismo maschile. Infatti le pagine della cronaca nera si riempiono sempre più delle tragiche storie di donne picchiate, violentate e uccise da uomini incapaci di affrontare un addio, di voltare pagina, di rispettare la donna: "Piacenza, uccide una donna e poi si spara"; "Omicidio per gelosia a Verona, strangola la moglie e si costituisce"; "Brescia, uccide l'ex moglie e altre tre persone"; "Stupro nell'Aquilano arrestato militare"; "Roma, violentata e rapinata - In manette due romeni".
Ditemi, dov'è la passione in tutto questo?
Ieri era la festa della donna: di fronte a questo massacro quotidiano mi pare ci sia poco da celebrare, ma tanto per cui lottare.



lunedì 5 marzo 2012

Ho sognato la cioccolata per anni


Leggi questo romanzo e ti viene da pensare che c'è stato un errore, questa non è una biografia ma una storia inventata perché Trudi Birger, la protagonista, non può essersela cavata così tante volte.

E invece è una biografia senza ombra di dubbio.
Trudi è davvero rimasta rinchiusa per giorni in una cella frigorifera di una macelleria per sfuggire alla deportazione in Siberia; è riuscita a salvarsi dai pesanti massacri attuati nel ghetto di Kovno; è rimasta chiusa per giorni nei carri ferroviari roventi e privi d'aria, senza niente da mangiare; è riuscita a superare la selezione e a riportare sua madre nella schiera delle non-condannate a morte immediata; ha camminato sul sottile filo della vita nella sua permanenza nel campo di concentramento di Stutthof e, anche quando una gamba infetta sembrava aver segnato il suo destino in modo inesorabile, la buona stella ha continuato a vegliare su di lei.

Insomma questa è la storia reale di una ragazzina di soli 16 anni che è riuscita straordinariamente a sopravvivere alla violenza nazista nonostante un'adolescenza rubata e gli affetti strappati.
Perché Trudi amava la vita più di ogni altra cosa:
"Malgrado le condizioni disumane della vita nel campo di lavoro, malgrado la paura e la degradazione, la sofferenza fisica e la fame, ero ostinatamente attaccata alla vita. Lottavo per tenere alto il morale di mia madre, e non lasciavo mai morire la speranza dentro di me. Anche la rabbia ci dava forza, la rabbia di essere state abbandonate, di essere tagliate fuori dal resto del mondo. Quanto ancora ci sarebbe voluto prima che gli alleati sbaragliassero i nazisti? Eravamo sicure che avrebbero perso la guerra, e ci aggrappavamo alla speranza di poter vedere quel giorno."

Dettagli
"Ho sognato la cioccolata per anni"
di Trudi Birger
Editore: Piemme Pocket
Data di pubblicazione: 1991
Pag. 222
Prezzo: 6,90€
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