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domenica 8 luglio 2012

Project Ten Books

(manca il libro di Babauta perché è un e-book; e poi, sì, mi trovate anche su Instagram come eleonora_f)

Manca il tempo.
Manca il tempo di leggere quanto e cosa vorrei, di sedermi davanti al portatile e di pensare con calma a una recensione, di fotografare, di seguire i progressi dell'arredamento della casa (ebbene sì, dopo 8 anni insieme c'è una convivenza in arrivo), di studiare fotografia come dovrei, di vedere le mie serie TV preferite, di vedere qualche film, di uscire con gli amici senza sentirmi uno straccio, di realizzare che "Wow, finalmente il weekend!", di godermi l'estate.

Ecco spiegato il silenzio che domina da oltre un mese su questo blog; e che non riesco nemmeno a spezzare con la recensione di un libro, nonostante sia riuscita a portare a termine la lettura alcuni libri in queste ultime settimane (Felicità di Will Ferguson e I newyorkesi di Cathleen Schine)!
No, oggi riesco solo a scrivere del "Project Ten Books" dopo averne letto sul blog La libreria di Nicky.

Ricordate il mio proposito del 2012 di non comprare libri per un anno?
Arrivata a metà 2012 posso dire di essere riuscita (abbastanza) a mantenerlo e di essere ricascata nella trappola del bookshopping compulsivo in rare occasioni, grazie soprattutto alle frequenti visite in libreria, a scambi proficui con altri Anobiiani e a colleghi che, in vista dell'imminente trasloco da San Babila a Maciachini, hanno regalato i loro libri.
Per continuare su questa strada e - anzi! - fare anche meglio ho deciso di partecipare al Project Ten Books lanciato sul gruppo Facebook Youtoubers che parlano di libri.
In cosa consiste? Nel non acquistare libri finché non se ne saranno letti dieci già in nostro possesso.

Ecco la lista dei miei 10:
  1. La lettera d'amore di Cathleen Schine
  2. La ragazza interrotta di Susanna Kaysen
  3. Basta il giusto di Andrea Segré
  4. Se ti abbraccio non avere paura di Fulvio Ervas
  5. Zen Habits Handbook for Life di Leo Babauta
  6. Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson
  7. Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll
  8. Italiani con valigia di Beppe Severgnini
  9. Fidanzata in coma di Douglas Coupland
  10. Pane e tempesta di Stefano Benni
Ce la farò a rispettare l'impegno preso?
Per saperlo... stay tuned!

lunedì 30 gennaio 2012

Propositi per il 2012? Alla buon'ora!

Foto © Newsusacontent

Con la mia proverbiale tempestività, vi propino un post originalissimo da inizio anno: i miei propositi per il 2012. Wowza! Sicuramente non sono interessanti come quelli di Marilyn Monroe (ecco, dopo appena due righe avrete già abbandonato questo post per fiondarvi sul fantastico sito Lists of Note), ma — vabbeh — ora.
Li trovate riassunti anche su 43Things, insieme ai miei progress periodici (scritti in inglese) sull'andamento effettivo di tali propositi.

Siete pronti?!
  1. non comprare libri per tutto il 2012: sì, forse state pensando a un bel "WTF?!" dato questo è un blog dedicato ai libri. Il punto è che nella mia libreria giacciono 128 libri mai letti. 128. E lasciatelo dire a me questa volta: WTF! Sono troppissimi e anche se sono riuscita a piazzarne alcuni a prezzi scontati e tramite scambio (a proposito, se siete interessati date un'occhio alla mia lista) ne rimane ancora una vagonata infinita.

    Quindi per questo 2012 ho deciso di mettere un freno al mio bookaholicismo autorecludendomi in una rehab (immaginaria) per un percorso di disintossicazione lungo 1 anno.
    Innanzitutto sarà fondamentale evitare i luoghi di perdizione (Feltrinelli, FNAC & Co.) per non cadere in tentazione e scongiurare il presentarsi dei classici sintomi da crisi d'astinenza: mani tremanti e incontrollabili che bramano pagine immacolate da sfogliare; sguardo in trance, perso tra gli scaffali; vocina gongolante nello sfogliare quel libro di cucina illustrato in modo eccezionale oppure per aver scovato il libro di quella blogger di cui hai sentito parlare tanto bene; portafoglio che si apre facile facile.
    Vietate anche le bancarelle, le librerie dell'usato e le sterminate librerie online.

    Ovviamente dovrò cercare di rendere meno dolorosa cotanta morigeratezza e questo sarà possibile rifugiandomi nel sacro tempio del libro: la biblioteca! E manco mi avesse letto nel pensiero, la biblioteca di Crema resterà aperta per diversi mesi anche di domenica. Yeehaw!!!
    Infine se proprio non troverò il modo di ottenere un libro senza cui la mia vita perderebbe completamente senso, solo allora sgancierò i soldi per comprarlo. Ma spero questo accada raramente in tutto l'arco del 2012.

    Al momento il trattamento detox funziana alla grande. Nessun nuovo libro acquistato, ma solo scambi fruttuosi con altri Anobiiani: grazie a loro ho tra le mani nuovi libri fantastici (come Bar Sport e Pane e tempesta di Stefano Benni)  e di liberarmi di alcuni volumi indesiderati.
    Senza contare le numerose letture gratis possibili grazie alla biblioteca: Make Up Delight, Colazione da Starbucks e Torta al caramello in paradiso

  2. fotografare in analogico: non ho gettato in discarica la mia fedele D90, sia chiaro! Però voglio provare a capire più fondo il mondo della fotografia e credo che l'uso della pellicola mi possa aiutare in questo, "costringendo" il cervello a pensare più attentamente prima di fare click!

  3. mangiare vegetariano almeno una volta alla settimana: non so se l'ho mai confessato su queste pagine, ma in un passato — nemmeno tanto lontano — sono stata vegetariana. Per due anni. Poi una forza di volontà non proprio inscalfibile, una passione sfrenata per il cibo e la sperimentazione gastronomica, e una mamma poco collaborativa.
    Ho vissuto questo abbandono come una sconfitta e molto spesso mi ritrovo a pensare "quanto vorrei essere abbastanza forte da riprendere l'alimentazione vegetariana". Purtroppo le condizioni che mi hanno portato lontano da quella strada non sono cambiate e andrei incontro a un nuovo fallimento. Ma posso sforzarmi di fare il possibile per fare delle scelte alimentari più oculate: già la mia colazione è quasi sempre vegan (yuppy!) e almeno due giorni alla settimana sono vegetariani!

  4. tenere un diario dei consumi: ora che finalmente ho uno stipendio assicurato (beh, almeno per un anno) e che ci sono dei cambiamenti in atto (ma di questo ve ne parlerò a tempo debito), è il momento di diventare ancora più attenta... ai movimenti di portafoglio!
E quali sono invece le vostre resolution?

venerdì 16 dicembre 2011

Riflessioni sparse sul consumismo natalizio

PREMESSA: in questo post verranno posti tanti dubbi esistenziali.
Non conosco risposte sicure e vincenti al 100%; mi limito a suggerire l'idea che forse il sistema economico mondiale attuale è perverso e che forse esiste una via d'uscita alternativa e percorribile da chiunque.


Quanti di voi sono stufi del consumismo?
E quanti di voi non sopportano più la frenetica corsa agli acquisti che raggiunge picchi insensati con le feste di Natale?
È possibile sfuggire alla macchina infernale del spendere e spandere?

Senza ombra di dubbio, è difficile sfuggirle.
Io per prima non posso definirmi una campionessa di ascetismo in fatto di regali natalizi, ma so di essere migliorata nel tempo: fino a qualche anno fa centellinavo i miei scarsi risparmi da studentessa disoccupata per comprare regalini a tutti i miei amici e parenti, e ne ricevevo altrettanti; da un paio di anni circa ho smesso di farne (e di riceverne). Non a tutti, sia chiaro.
Io e Marco continuiamo a scambiarceli: sono regali solitamente importanti, non cazzatine da pochi euro giusto per non presentarsi a mani vuote. Ci conosciamo abbastanza bene da sapere cosa desidera o di cosa ha bisogno l'altro.
Mentre per la sua famiglia, le mie due zie e la mia nonna mi affido solitamente alle classiche ceste di prodotti equo-solidali e biologici.

Insomma la quantità di regali si è notevolmente ridotta negli anni. Ma non fraintendetemi: questo non è dovuto a un eccesso di tirchiaggine!

Il primo motivo: sono stanca di regalare e ricevere oggettini inutili che come da copione finiscono dimenticati in qualche cassetto
Un esempio classico sono le candele: ho scoperto di possedere un arsenale di candele profumate, ricevute nei Natali scorsi e mai usate.
Da qualche settimana ho deciso di riportarle alla vita, prendendo spunto da un'idea di Colin Beavan; così, ogni sera, candele alla mela verde e alla vaniglia illuminano le mie letture prima del sonno ristoratore.


Il secondo motivo è la nausea che mi assale al solo pensiero di affrontare la folla dei centri commerciali: code per trovare un parcheggio, folla tra i corridoi e i negozi, spintoni e cattivi odori, camminate a ritmo bradipico, file alla casa, attese nei bagni, lotte serrate per occupare un tavolo al bar, caldo asfissiante, fastidiose luci al neon...
Capite bene come la voglia di affrontare tutto questo  a Natale come in qualsiasi altro periodo dell'anno non mi calcoli di striscio.

Il terzo è lo spirito natalizio che sta abbandonando la mia barca (o forse l'ha già abbandonata completamente).
Sì, certo mi mette allegria vedere le vie illuminate e le case decorate a festa. Ma il fuori sbrilluccicoso riflette anche uno spirito veramente gioioso e positivo?

L'ideale sarebbe fare regali utili, significativi.
Come scrive Colleen sul suo blog 365 Less Things (mia libera traduzione):
Ci sono così tanti modi per dimostrare quanto ami una persona che non prevedano l'acquisto di doni materiali. Fare qualcosa per qualcuno, trascorrere tempo con una persona, organizzare un'uscita, farsi una manicure o un massaggio facciale insieme alle proprie amiche, giocare a golf o andare a pesca insieme a un amico; questi sono tutti regali che vengono dal cuore e non dai negozi. [...]
È complicato perché il lavaggio del cervello che ci è stato fatto ci induce a credere che regalare qualcosa di materiale sia il modo migliorare per dimostrare quanto si ama una persona.
E più soldi si spendono, più questo amore appare forte (che idea disgustosa).

Eh già, è difficile fare questo cambiamento di mentalità e di abitudini. Forse la crisi che ormai si protrae da anni ci obbligherà a farlo non solo a Natale, ma anche per il resto dell'anno.
Il punto è: riusciremo davvero a svincolarci da questo consumismo vorace, a invertire la rotta, a rifiutare l'assurdo imperativo del "comprare per far ripartire l'economia mondiale"?
Rimarremmo in pochi a tentare il cambiamento oppure questa filosofia di pensiero riuscirà a raggiungere la massa critic?
Chissà se riusciremo a fare quanto spera Katie Tallo su Rowdy Kittens (tradotta dalla bravissima Laura su Minimo).
Ma come fare per cominciare a guardare oltre la montagna di roba, verso la terra beata del “basta così”?
Facendo un passo indietro e dando una bella occhiata a noi stessi, agli oggetti che possediamo e a quello che fa scattare in noi certi meccanismi.
Difendendoci dall’assalto delle pubblicità, evitando i centri commerciali e abbassando il volume del rumore intorno a noi: per riuscire a sentire la nostra voce interiore che ci sta urlando di smetterla di comprare roba inutile!
La montagna inizierà a sgretolarsi. 
Prendendoci per il colletto della nostra bella camicia firmata e indirizzandoci verso una vita in cui siamo noi a decidere. Una vita che abbia senso per noi, e non necessariamente per i protagonisti di una serie TV. Prendendo atto di tutto quello che già abbiamo. Attribuendo la giusta importanza ed essendo grati per quanto possediamo, ma smettendo di esserne schiavi. Modificando le tradizioni di famiglia, cambiando marcia, inventandoci regali fatti da noi anziché acquistati in un negozio, riciclandoli o evitando di acquistarli del tutto: creando tradizioni nuove, in cui ci scambiamo storie anziché regali, abbracci anziché pacchetti, tempo da trascorrere insieme anziché eccessi. 
La montagna diventerà sempre più piccola.
E voi cosa ne pensate?
Come vivrete il Natale dal punto di vista dei regali?
Siete convinti che sia necessario un cambiamento di mentalità e di abitudini per liberarsi di quel collare a strangolo con cui l'economia ci tiene sotto controllo?

mercoledì 2 novembre 2011

Primi passi minimalisti

Ispirato al libro La Sfida delle 100 cose, ho cominciato a dedicarmi allo sviluppo di un atteggiamento minimalista. Come? Dandomi alle grandi pulizie e alla ricerca di acquisti inutili sparsi tra bagno e camera da letto.
Ovviamente ho trovato moltissima roba futile e, a volte, inutilizzabile.

Ho iniziato il grande repulisti dai bagni concentrandomi subito sulla montagna di campioncini delle più disparate tipologie, sparsi ovunque: fondotinta in crema, profumi, creme per il viso, pomate anti-cellulite, bagnodoccia, olii e tanti shampoo di hotel.
Ho buttato via tutti i campioncini vecchi, risalenti anche a più di 5 anni e quindi non più indicati all'uso. Ho fatto intraprendere la via della spazzatura anche ai fondotinta in crema innanzitutto perché io uso solo trucco minerale e, in secondo luogo, perché il colore non si addiceva per nulla al mio incarnato. Avrei rischiato il patetico effetto mascherone!
Ho tenuto solo i tester più recenti come quelli dei profumi, la crema per le gambe stanche, due campioncini di olio d'argan e alcuni shampoo; quest'ultimi sono stati mischiati con il Garnier all'henné e aceto di mora attualmente in uso in doccia. Già, questo prodotto non è molto ecologico ma devo ancora trovare un metodo per lavarmi i capelli in modo eco-friendly senza ottenere l'effetto stoppa in testa.

Poi ho scovato due fluidi liscianti per i capelli, comprati da una parrucchiera molto convincente anni fa ma mai usati :( Anche questi vecchissimi considerando il fatto che io vado una volta/due volte all'anno dalla parrucchiera. Sono finiti direttamente nella spazzatura.

Per fortuna ho trovato anche qualcosa di vecchiotto ma comunque riutilizzabile come la Ghassoul, un tipo di argilla neutra del Marocco utile per lavare e pulire i capelli e la pelle. Se non sapete come usarlo, guardate anche voi questo video di Carlita oppure leggete questo topic su Capelli di fata (in quest'ultimo caso dovete prendervi un po' di tempo per scorrere tutte le 79 pagine del thread).
Io ho provato a fare una maschera seguendo le indicazioni di Murex e ne sono rimasta estasiata! Come ho fatto a lasciarla lì inutilizzata per così tanto tempo... sono proprio una stupida! Mi ha lasciato la pelle del viso liscia e morbida come nessuna maschera preconfezionata è mai riuscita.
Ecco cosa vi serve:
  • 50 ml di ghassoul
  • 10 ml di miele
  • 10 ml di succo di limone
  • qualche goccia di latte (io non l'avevo e ho messo dell'acqua)
  • qualche goccia di olio di mandorle dolci
Mescolare gli ingredienti in modo da ottenere una pasta senza grumi, spalmare e lasciare agire finché la maschera non si secca, dopo di che sciacquare.

Il mio obiettivo non è di arrivare a possedere solo 100 cose, ma di non comprare niente nel settore cosmetico per moooolto tempo. Voglio usare e finire la maggior parte dei prodotti conservati e poi darmi completamente all'acquisto di cosmetici bio e allo spignattamento, ma con oculatezza.
In realtà vorrei applicare questo comportamento per qualsiasi area merceologica: abbigliamento, accessori, borse... E anche ai libri, ma qui il discorso si fa assai più difficile: ci vuole moltissima forza di volontà e parecchia determinazione.

lunedì 31 ottobre 2011

La sfida delle 100 cose di Dave Bruno


Da qualche anno ho sviluppato un grande interesse verso il movimento minimalista e seguo diversi blog in tema (la maggior parte "made in USA", tra cui spiccano l'ottimo Zen Habits e il più recente Mnmlist di Leo Babauta, ma segnalo anche l'italianissimo Minimo di Laura Dossena). Quindi non mi era sfuggito questo testo di cui si è spesso parlato, prontamente infilato nella lista dei desideri e acquistato finalmente un paio di settimane fa.

La sfida delle 100 cose di Dave Bruno è un testo interessante che propone una sfida stimolante all'umanità (anche se forse manca quell'approfondimento in più che lo avrebbe reso ancora migliore). In cosa consiste questa sfida? Vivere per un anno intero solamente con 100 cose. A leggerla così sembra una vera mission impossible; e invece Dave Bruno c'è riuscito e ha scatenato un forte dibattito a livello internazionale, guadagnandosi inaspettatamente un folto gruppo di sostenitori e innescando una catena di sfide simili.

Io trovo il suo esperimento ammirabile e mi ha spinto sia a fare un po' di pulizia materiale che riflessioni mentali perché, nonostante creda di essere una persona attenta agli sprechi e all'ambiente nonché aspirante minimalista, mi ritrovo con armadietti e scaffali pieni di acquisti compulsivi coperti da una coltre di polvere, segno evidente della loro inutilità.

Che dire, ad esempio, della ventina di ombretti minerali conservati in una scatola a fiori in bagno? Essendo una frana nell'arte del trucco e una ritardataria cronica, mi capita raramente di avere la pazienza e il tempo di abbellirmi gli occhi con i colori sgargianti di questi fantastici ombretti. Mi piacerebbe esserne in grado ma — ahimè — guardare i tutorial di ClioMakeUp e di MakeUpDelight non mi ha reso la nuova guru del trucco di YouTube. Quindi il massimo che mi concedo è una passata di fondotinta minerale, di blush minerale e mascara.
Ma perché ne ho acquistati così tanti? Perché nello shop online si presentavano tutti in modo irresistibile; perché amo i colori forti e vivaci; perché essendo minerali sapevo di non comprare niente di dannoso per la mia pelle; perché sono belli da vedere; perché speravo di diventare brava nel creare trucchi ad opera d'arte come questo e di stupire gli altri con combinazioni fantasiose e colorate.
Questo è successo solo una volta quando sono riuscita a creare un mix perfetto di verde smeraldo e di oro sulle mie palpebre e ho ricevuto i complimenti delle mie amiche. Una volta in un anno dal loro acquisto.

E con quest'ultimo punto tocco una questione importante trattata anche nel libro: il cercare di dare significato all'esistenza attraverso i nostri acquisti. Non vi è mai capitato di pensare qualcosa come "Cavoli, con quel cappotto/quella borsa/quegli orecchini sarei veramente bellissima/sarei molto più professionale/tutti si girerebbero a guardarmi/farei l'invidia di qualsiasi bipede?". Beh, lo confesso: io l'ho pensato. Molte volte. Forse perché soffro di insicurezza cronica? O perché vivo in una società dove l'avere e l'apparire conta più dell'essere? Perché ho bisogno di sentirmi elogiata ed apprezzata? Oppure perché voglio prevalere sugli altri? Perché sento che mi sentirei realizzata con quel "pezzo mancante"?
Magari è per tutto questo messo insieme. Sta di fatto che ci sono dentro anch'io, nonostante la mia vena ecologista e minimalista.

Ora, non pensate che io sia una Becky Bloomwood all'italiana! Vi assicuro che mi faccio degli scrupoli quando devo comprare qualcosa e non acquisto qualsiasi cosa mi piaccia, anche perché non guadagno cifre folli e perché ho ancora un briciolo di buonsenso. Inoltre non amo seguire la moda, non mi piacciono i vestiti in cui campeggiano i nomi delle griffe a caratteri cubitali, ricerco la comodità, la praticità e possibilmente una buona fattura (ad esempio, ho diversi maglioni Benetton comprati alle superiori che mi calzano ancora a pennello e sono ancora perfetti).
Quindi non mi vedrete mai spendere migliaia di euro per una borsa marrone con una L e una V incrociate in Place Vendôme a Parigi né contrattare con un venditore abusivo per la stessa borsa taroccata nelle vie di Milano (nel caso remoto in cui mi vediate far ciò, siete autorizzati a darmi un colpo in testa).

Però ammetto di incappare nell'errore comune di ricercare la felicità negli oggetti e di pensare che sarei una persona migliore e più interessante se entrassi in possesso di un certo oggetto.
Il problema è che non succede mai. Quegli ombretti minerali non mi hanno resa più figa e non sono diventata brava a truccarmi gli occhi.
"Il consumismo stimola in noi l'impulso di acquistare, ma non a conoscere noi stessi. La pubblicità e le tecniche di vendita del centro commerciale puntano a renderci sempre meno consapevoli di chi siamo realmente e sempre più preoccupati di chi non siamo." (pg. 88)
Voglio forse diventare una vuota narcisista? NO!
Quindi il prossimo passo sarà applicare il più possibile il minimalismo alla mia vita, evitare gli acquisti compulsivi e riflettere di più quando mi trovo in un negozio, pronta per un nuovo acquisto.
E poi vorrei anche affrontare qualche sfida, magari quelle proposte da Laura sul suo Minimo.

Mi rendo sempre più conto che desidero davvero slegarmi il più possibile dal vortice del consumismo e oppormi all'imperativo secondo cui per far ripartire questa stagnante economia mondiale sia necessario comprare, comprare e solo comprare (e quindi indebitarsi, aprire finanziamenti e andare in rosso).

Voglio solo vivere una vita più semplice e meno stressante.

Dettagli
"La sfida delle 100 cose"
di Dave Bruno
Editore: Tecniche Nuove
Data di pubblicazione: 2011
Pag. 196
Prezzo: 14,90€

lunedì 12 settembre 2011

11/09/2001: 10 anni dopo

In occasione del decimo anniversario dall'episodio forse più sconcertante della storia degli USA, ieri sul Web impazzava la domanda: "Dov’eri e cosa stavi facendo durante l’attentato alle Torri Gemelle?".
Mi impressiona notare come tutti ricordino alla perfezione il luogo in cui si trovavano e l’attività in cui erano impegnati, poi sospesa di fronte alle sconcertanti immagini proposte in diretta dalla televisione.

In ritardo, partecipo anch’io al sondaggio.

Dov’ero quel pomeriggio?
Ero seduta al tavolo in cucina e stavo frettolosamente completando i miei compiti delle vacanze di francese.
Il terzo anno al liceo linguistico era ormai alle porte e io, come da copione, non avevo ancora finito gli esercizi di scuola. Mia mamma, in piedi accanto a me, era concentrata nei preparativi della cena; invece, nella stanza accanto, mio fratello stava sdraiato scompostamente sul divano, assorbito dalla sua attività extra-lavorativa preferita: lo zapping alla televisione.

All’improvviso lui ci urla di accendere la televisione perché era successo qualcosa di molto grave a New York.
Eccola lì, la torre nord del World Trade Center che sputava nuvole di fumo grigio-nero da una gigantesca voragine.
Poco dopo, ancora immersa nell’incredulità, vedo schiantarsi un aereo sulla torre sud. La scena si ripete: lingue di fuoco erompono dopo l’urto, pericolosi detriti cadono a terra e del nuovo fumo oscura il cielo di New York.
Ogni speranza di vedere tratti in salvo le vittime dell’incidente (l’opzione attentato era solo una possibilità) si spegne con il crollo di entrambi i grattacieli. Le migliaia di persone rinchiuse in quella trappola di cemento e metallo vanno incontro alla morte impotenti e i loro minuscoli resti si mescolano insieme allo tsunami di polvere che si abbatte sulle strade di Manhattan.
Nel frattempo altri due aerei si schiantano contro il Pentagono e in nei pressi di Shanksville, Pennsylvania.

A distanza di dieci anni, posso dire che l’attentato all’America ha determinato per me la fine dell’età dell’innocenza.
La confortevole teca di cristallo in cui avevo vissuto fino a quel momento si è infranta in mille pezzi, lasciando il posto a una nuova, amara consapevolezza: l’essere umano può essere malvagio, è in grado di uccidere e di uccidersi per futili motivi e può persino organizzarsi meticolosamente per realizzare folli progetti di sterminio. Nessuno può più sentirsi davvero al sicuro e fidarsi ciecamente del prossimo può rivelarsi pericoloso.

Ma oltre al racconto dei miei ricordi, voglio segnalarvi l’associazione no-profit StoryCorps, autrice di un’ottima iniziativa legata all’11 settembre.
StoryCorps, an independent non-profit based in Brooklyn, New York, is creating “One story for every life lost on September 11th.” Their motto is that “every voice matters” and this specific project was created in order to honor the “lost voices” of 9/11. Using interviews conducted with family members and friends of the people who were killed in the attacks, StoryCorps has created a series of animated shorts that brings those individual stories to life.
StoryCorps ha lavorato per omaggiare alcune di quelle persone attraverso dei cortometraggi animati in modo che le loro identità non si perdessero nell’anonimia dei grandi numeri e il loro ricordo non sfumasse con il trascorrere del tempo.
Per realizzare il progetto – il cui obiettivo è di registrare un’intervista per ogni vita spezzatasi quel giorno - l’associazione ha lavorato fianco a fianco con i familiari delle vittime:
  • in She Was the One, Richie Pecorella ricorda l’amore della sua vita Karen Juday, assistente amministrativo della Cantor Fitzgerald al 101° piano della torre nord
  • anche Michael Trinidad lavorava per la Cantor Fitzgerald: la sua storia è narrata dall’ex moglie Monique Ferrer in Always a Family
  • John Vigiano Sr., vigile del fuoco in pensione, ha perso entrambi i figli: Jonh Jr., anch’egli pompiere, e Joe, detective di polizia. Li ricorda in John and Joe

venerdì 5 agosto 2011

In partenza

Santuario di Pietralba (Trentino Alto Adige) © Eleonora F.


Tempo di vacanza anche per me
.

In realtà le prospettive fino a metà luglio non erano rosee sotto questo punto di vista: infatti avrei dovuto rimanere in ufficio per tutto agosto e, probabilmente, anche oltre per seguire un contest organizzato per un cliente.
E invece il 16 luglio è stato (inaspettatamente) il mio ultimo giorno di lavoro presso Yooplus. Non mi va di raccontare i retroscena della vicenda in questo luogo, vi basti appunto l'avverbio inaspettatamente utilizzato prima.
Ho evitato di deprimermi per questa improvvisa condizione di disoccupata e - anzi - ne ho approfittato per fare un po' di cose che, prima, a causa della stressante vita da pendolare milanese, mi risultavano difficili:
  • alzarmi a orari umani
  • scattare tante foto, sistemare i tanti arretrati e pubblicare le migliori su Flickr
  • fare qualche gita fuori porta (in particolare nella campagna pavese e all'Eremo di Santa Caterina in provincia di Varese)
  • fare shopping approfittando dei saldi
  • leggere i tanti articoli in arretrato su Google Reader (sono riuscita a tornare sotto la soglia dei +1000: ora sono a quota 676!)
  • leggere con attenzione quella fonte di informazioni per il lavoro che è il Mestiere di scrivere di Luisa Carrada e il blog di Leo Baubata, mnmlist, sorgente di ispirazione per un'aspirante minimalista come me
  • leggere (e finire!) libri di carta
  • passeggiare e correre nella campagna cremasca
  • terminare l'ottava serie di One Tre Hill e la prima stagione di The Big C
  • vedere persino qualche film
  • perdermi su Pinterest
ma soprattutto
  • organizzare una vacanza!
Avrei voluto sfruttare il regalo di laurea di Marco, ossia una settimana a Londra.
E invece, avendo i giorni contati, siamo stati costretti a virare su qualcosa di meno costoso (due settimane fa i voli per la capitale londinese si aggiravano sui 300-400€!), ma non meno affascinante: la Toscana!
Sarà una vacanza itinerante: quattro giorni nei dintorni di Siena, tre giorni nei pressi di Saturnia e gli ultimi due giorni in Umbria, precisamente ad Assisi.
L'ho mai detto che adoro queste Regioni italiane?
Ecco, lo dichiaro a lettere cubitali ora: AMO LA TOSCANA E L'UMBRIA!
E ora, scappo a letto che domani la sveglia suona alle 4 del mattino. Arrrrgh!!!

Ci vediamo tra 10 giorni!

giovedì 14 luglio 2011

Di quella volta che Mondolibri mi fregò

Sto editando, tagliando, sistemando, contrastando le foto del matrimonio dei miei amici Michi & Boss, tenutosi il 22 maggio.
Sì, sono leggermente in ritardo, ma c'è un rapporto sproporzionato tra le poche ore di tempo libero che ho a disposizione alla settimana e le montagne di foto che scatto (solitamente durante il weekend).
Il lavoro è ancora lungo e credo mi impegnerà altre serate.
Intanto potete dare un'occhio al set delle foto che ho scattato a fine giugno allo stupendo Parco Giardino Sigurtà. Ne sono abbastanza orgogliosa anche se per alcuni scatti avrei tanto voluto disporre di un obiettivo macro e di un 50mm.
Perché io pretendo poco :P

Ed ora un piccolo fatto che mi è accaduto poco tempo fa e che dà un po' l'idea della penosa situazione della lettura in Italia.

Stazione di Milano Bovisa.
Mentre controllo i tabelloni per individuare il primo treno utile per tornare a casa, mi si avvicina un ragazzo con quell'immancabile cartellino appeso alla camicia che lo contraddistingue come "promoter MondoLibri".

Antefatto.
Ho un brutto ricordo di loro, legato a un'epoca in cui ero ancora molto giovane, ingenua e piena di fiducia nel prossimo, e Milano per me voleva dire fare un'eccitante fuga dalla piatta provincia cremonese e sbizzarrirsi con le amiche nello shopping.
E così, nell'estasi della gitarella milanese e con le mani occupate da sacchetti, io e la mia fida compare Ele veniamo fermate da una promoter MondoLibri che ci spiegò abilmente i vantaggi dell'iscriversi al loro bookclub, ti fare la tessera, di ricevere libri a prezzo stracciato; bastava una firmetta lì, in fondo, niente di che.
E noi, come due babbee, abbiamo firmato entrambe.
Risultato: incastrate in un contratto vincolante all'acquisto di un libro al mese (tra una gamma davvero scadente, al punto che mi sono ridotta a prendere "3 metri sopra al cielo", fate voi!) per due anni. Sborsando soldi, altro che sconti e prezzi vantaggiosi!

Capite che da quella disavventura, Mondolibri è entrato nella mia blacklist.
Purtroppo, da quando frequento Milano per lavoro e la città ha smesso di avere quell'aura elettrizzante che aveva prima per me, mi sono imbattuta spesso in questi promotori dell'amore della lettura.
Di solito quando li individuo, trovo un modo per schivarli o accelero il passo borbottando un "Perdo il treno" o "Sono di fretta" o li liquido semplicemente con un "Sono già vostra socia" (che in parte è vero).

Ritorno alla Bovisa.
Questa volta - nonostante fossi veramente in a hurry - non sono riuscita a fare la stronza indifferente bugiarda come al mio solito.
Credo di essere stata intenerita dal fatto che il ragazzo fosse molto giovane e che nell'approccio al potenziale cliente si sia dimostrato molto gentile ed educato, quasi timoroso di disturbare (e poi, diciamocelo, a volte mi intenerisco anch'io).
Sta di fatto che mi sono fermata a rispondere alle sue domande.
Parte col classico "Qual è l'ultimo libro che ha letto?". Risposta: "Un libro di Diana Gabaldon, Il cerchio delle pietre". Sguardo perplesso e un "Ah" mormorato appena. Potevo quasi visualizzare il famoso palloncino da manga con un mega punto di domanda a riflettere il vuoto nella sua testa.
Riparte con un "Ti piace leggere?". A me lo chiedi? Con un blog di recensioni di libri e testi che strabordano dagli scaffali? Ovviamente ho detto "Si, molto."
Lui ha fiutato probabilmente una preda papabile e ha incalzato con un "Ah, bene! E quanti libri compri all'anno? 5, 6?". Tzè, mi sono messa a ridacchiare pensando al mio bookaholismo e gli ho sparato un "Eh si, almeno ne prendessi 5 0 6! No, guarda, molti di più. Credo circa una ventina."
Sbiancamento sul volto del promoter e occhi fuori dalle orbite per lo stupore. Aveva di fronte a sé una bestia rara, un'avida lettrice italiana in via d'estinzione, una potenziale cliente da fregare e a cui spillare soldi con l'inganno.
Ripresosi dallo shock, il ragazzo ha domandato se avevo tempo per qualche altra domanda, ma io ho dovuto salutarlo per via del treno.

Fool me once, shame on you; fool me twice, shame on me.

A domani con la recensione del quarto libro della saga La straniera di Diana Gabaldon (chi?!!!!!!!!!!!!).

martedì 14 giugno 2011

Spesso odio Blogger

Blogger comincia a darmi sui nervi.
Anzi a dirla tutta mi fa veramente cagare.
Iniziando dalla penosa barra degli strumenti di editing che sta qui sopra mentre scrivo. Per dire: possibile che se imposto un link, posso solo mettere l'url ma non la destinazione e il titolo?

Ma la cosa che mi fa più incazzare è la mancanza di una funzione fondamentale, ovvero la possibilità di impostare un post come privato, visibile solo alla mia piccolissima cricca di lettori.

Vi starete che senso ha impostare un post come privato quando si scrive su un luogo pubblico come il Web.
Non avete tutti i torti.
É che, in questo periodo, vivo in una patina di apatia insopportabile e vorrei semplicemente urlare (ma in una stanza insonorizzata) quanto mi sento frustrata per questa situazione.
Non so se questo potrebbe aiutarmi a scrollarmi di dosso la demotivazione che mi affligge e mi corrode ogni giorno.

In ogni caso mi rode non potere scrivere 'sto benedetto post privato.
E allora sogno di trasferire tutto questo su una piattaforma più seria come Wordpress che avevo usato nel passato, uso tuttora al lavoro e ha un bel plugin di nome Social Privacy che ti permette di restringere l'accesso di post (e persino delle categorie!) solo a certi utenti.
Heaven.
Ma avete presente lo sbatti di un trasloco su Wordpress?


On air now: Lingua a sonagli {Carmen Consoli}

martedì 10 maggio 2011

Update lavorativo

Cupcakes, a photo by Eleonora F. on Flickr.

Ripubblico il post che avevo scritto qualche giorno fa, visto che Blogger c'ha fatto lo scherzone...

Una pensa che finita l'università e approdata al mondo del lavoro dopo il consueto 9-5 potrà finalmente disporre di più tempo libero e dedicarsi a se stesso, al relax, allo sport, a leggersi i millemila libri che - a causa degli esami - ha lasciato sugli scaffali a impolverarsi, a del sano cazzeggio sul letto godendosi una serie TV dopo l'altra, al blog.

Illusa.


É da oltre una settimana che non riesco ad andare in palestra (ho dovuto pure saltare la lezione di kettlebell, maledizione!).

L'unica serie TV che sono riuscita a recuperare è la prima stagione di Secret Diary of a Call Girl (ma ce ne sono altre due, più una quarta in corso), senza parlare degli arretrati di One Tree Hill, Gossip Girl, The Big Bang Theory, The Big C...

Il ritmo di lettura si è abbassato drasticamente: gli unici momenti che avrei per leggere sono durante il viaggio di andata e di ritorno a lavoro sul treno (ma solitamente sono così stanca che mi appisolo subito), di sera (che però passo a navigare sul Web - come se non stessi attaccata al PC abbastanza, maledetto StumbleUpon! è una droga ormai - e a volte a lavorare, com'è accaduto la settimana scorsa) e nel weekend (cerco di uscire, stare all'aria aperta, vedere Marco e gli amici). Così mi riduco a leggere qualche pagina durante le delibere in bagno :P

Il mio Google Reader straborda di item in attesa di lettura (o di essere semplicemente segnati con nonchalance come letti): è da un periodo di tempo imprecisato che il contatore è fisso sui +1000. Non ce la farò mai a tornare a un numero "umano".

Non trovo il tempo di scrivere sul blog (cavoli, l'ultimo post risale a un mese fa! Shame on me!).

Inconvenienti del lavoro, ma devo anche dire che nell'ultimo mese c'è stato uno sviluppo positivo sotto questo punto di vista: sono diventata content & community manager (maggiori dettagli sul mio LinkedIn), in sostituzione della mia ex collega (nonché guru :P) Francesca, a cui faccio nuovamente un in bocca al lupo, anche se non ne ha bisogno :)
Quindi, oltre a varie attività meno divertenti, finalmente mi dedico professionalmente a ciò che vorrei fare nella vita: scrivere e gestire una community online!

Scrivere appunto: latito qui, ma sono ben attiva da un'altra parte, il blog di InPausa. Ho una maestra di tutto rispetto, ovvero Giulia Blasi, e il progetto rappresenta un'ottima palestra di scrittura creativa, anche perché spesso trattiamo di argomenti a me molto a cuore, in particolare di tematiche ambientali. Spero in ogni caso di riuscire a migliorare il mio stile.

E poi fare la community manager: essere la voce del brand, relazionarsi con gli utenti, ascoltare, gestire momenti di crisi online...
Allo stato attuale è il mio dream job. Non è un lavoro semplice, anzi a volte estenuante - come so grazie a community manager che conosco -, disponibilità quasi 24h su 24, essere sempre sul pezzo, tanta pazienza e tantissima calma zen. Per ora non ho sperimentato l'ebrezza di avere a che fare una tribù movimentata, ma spero che la situazioni si smuova presto.
Mmmm mi sa che mi sto tirando la zappa sui piedi da sola.
Sono forse pazza?!

Beh, al massimo posso ritornare al lavoro dei sogni di quando ero piccina picciò: la gelataia! Tra l'altro pare che ci siano un sacco di posti vacanti...

mercoledì 13 aprile 2011

Io & Marco nel giorno della mia laurea

Questa è l'unica foto decente (e l'unica che pubblicherò sul web) tra tutte quelle scattate il 24 marzo 2011, ossia il giorno in cui mi sono laureata in Comunicazione ed editoria multimediale all'Università degli Studi di Bergamo discutendo una tesi sull'uso del social media nella comunicazione aziendale.
Sia le foto che ha fatto mio papà con la nostra compattina schifosina che quelle del fotografo realizzate con una Nikon D80 (esticazzi!) lasciano a desiderare, purtroppo.
Colpa del soggetto ovviamente.
Proprio qualche giorno prima mi ero presa un bel raffreddore con i fiocchi (qui non si nota perché la narice ridotta male era la destra) e quindi non stavo proprio al top.
E poi, non so perché e come, ma in tutte le foto ho un occhio più chiuso dell'altro. Oddio, starò mica trasformandomi nel tenente Colombo?!
Senza contare l'espressione da zombie assonnato che mi contraddistingue in tutte le fotografie. Mi era successo anche per la triennale: dopo la discussione sono caduta, in entrambe le occasioni, in uno stato narcolettico profondo, dovuto probabilmente al rilascio della tensione per la giornata importante e allo stress accumulato (oltre ai chili) nei mesi precedenti.
E poi i capelli. Cavolo, i capelli! Maledetto il parrucchiere che me li ha accorciati più del dovuto mentre io volevo mantenere la lunghezza fino alle spalle [Eleonora e i parrucchieri hanno una relazione complicata]!

Tuttavia questa foto, scattata appena dopo la discussione, mi piace: nonostante l'occhio da triglia, l'espressione è felice e soddisfatta e riflette esattamente il mio stato emotivo del momento.
E poi sono insieme al mio adorato Marco che, manco a dirlo, è uscito veramente bene. Che figo

La giornata è andata molto bene.
Dovevo essere la terza nell'ordine pubblicato sul sito dell'università, e invece sono stata la prima a discutere, verso le 10 del mattino. Nessun problema per me, anzi; via il dente via il dolore.
Al mio fianco i miei genitori, Marco e qualche amica, anche se so che altre persone erano presenti con il pensiero.
Non ero per nulla tesa e agitata e, infatti, sono riuscita tranquillamente a seguire il filo del discorso che avevo impostato e dopo - credo - un quarto d'ora era già tutto finito. Con un 105. Era il voto che mi aspettavo e quindi non ci sono state sorprese sotto questo punto di vista.
Dopo qualche fotografia nel cortile interno della sede di via Salvecchio, ho passato il resto della giornata a Bergamo Alta, godendomi i primi caldi raggi del sole e la bellezza indiscutibile di quei luoghi, e ho salutato per sempre la mia cara università.

Addio alla vita da universitaria sfattona.
Buongiorno mondo del lavoro: in Italia non sei messo bene, ma spero saprai darmi tante soddisfazioni come ne ho avute all'università.

mercoledì 6 aprile 2011

Day 311 | Wifi gratuito @Todo Modo


Si, sono ancora viva. E laureata!

Sono in attesa degli scatti del fotografo ufficiale, così poi potrò scrivere un resoconto della giornata utilizzando del materiale visivo decente dato che quelli fatti con la point & shoot fanno pena.

Approfitto di questo post per fare una prova con la nuova funzionalità di Flickr: ecco una foto scattata all'interno del posto più bello di tutta la Bovisa: il Todo Modo.

In questo quartiere desolante di Milano si nasconde questa perla con le sue pareti colorate tappezzate di disegni realizzati da studenti annoiati e gli annunci appesi da universitari in cerca di un coinquilino; le sedie multicolore e i tavolini di legno dove si accalca un numero ingestibile di persone all'ora di pranzo; il menù da bava alla bocca davanti a cui è difficile mantenere un contegno.
Un consiglio per veri golosi: provate la crêpes con dulce de leche.

Lo scatto fa parte del mio progetto fotografico per il 2010, il 365 photo project

giovedì 17 marzo 2011

Eleonora si laurea


Ecco un post per aggiornarvi sulla mia situazione attuale, dato che è passato parecchio tempo dall'ultimo.

Il principale cambiamento di questo periodo? La fine della mia carriera universitaria. Ebbene sì, sono riuscita a sostenere gli ultimi tre esami: 19 in istituzioni di economia - che mi ha rovinato la media - e 30 sia in musica per la comunicazione visiva che in cultura giapponese. E sono riuscita a terminare la stesura della tesi entro la data ultima di consegna. Così il 24 marzo discuterò la tesi dal titolo "Integrazione dei social media nella comunicazione aziendale: il caso Yooplus" nella sede di via Salvecchio a Bergamo.
Non ho ancora pronte le stampe, non ho un vestito adatto, non ho scarpe da abbinare, devo terminare il mio discorso e le stampe da distribuire alla commissione; ma credo di farcela a terminare tutto. Sono davvero gli ultimi sforzi.

Ho lavorato duramente tra le fine del 2011 e i primi tre mesi del nuovo anno per riuscire nell'intento difficile di laurearmi nella sessione primaverile.
Mi sono barcamenata con parecchie difficoltà tra la vita da pendolare milanese, il lavoro (per fortuna i colleghi sono stati comprensivi nei miei confronti), le noiose trafile burocratiche all'università, i libri, i post e le riviste da consultare, e i capitoli da riscrivere.
Ho rinunciato per oltre un mese alla mia vita sociale pur di farcela, non ho visto i miei amici per settimane e mi sono incontrata di sfuggita con Marco.
Ho smesso di fare qualsiasi attività sportiva (e infatti i chili in più non hanno tardato ad accumularsi sul mio giro vita).
Mi sono logorata per il nervosismo, l'ansia e l'angoscia di non farcela e di dover rimandare tutto a fine giugno (e dover quindi far pagare ai miei genitori la pesante seconda tassa universitaria).
Per lo stress ho persino avuto problemi all'occhio destro, al punto che non riuscivo a leggere un libro, guardare la televisione o stare al computer nemmeno per cinque minuti perché subito mi si annebbiava la vista e mi veniva una forte emicrania (io ritengo sia stato principalmente a causa dello stress, ma gli accertamenti sono ancora in corso).

Ma i miei sforzi sono stati ripagati!

Ho tanto desiderato mettere la parola fine alla mia vita accademica e potermi liberare della zavorra dello studio, ma ora che vedo finalmente la fine del "tunnel", non posso fare a meno di provare un po' di tristezza.
Mi mancherà la stupenda città di Bergamo. Mi mancherà perdermi tra le strade antiche di città alta; scoprire nuovi posti e immortalarli con la mia onnipresente compatta; respirare la quiete delle diverse sedi universitarie; frequentare le lezioni di alcuni docenti che, oltre a delle nozioni, hanno saputo trasmettermi ben altro; ammirare la stupenda vista su città bassa dalle mura venete; il pane greco con i porcini e le mascherine glassate di Carnevale del panificio Tre Soldi in via Colleoni; il pranzo nelle assolate giornate primaverili ed estive sotto il pergolato della Cooperativa Città Alta; la quiete e la solennità della biblioteca Angelo Mai; le lunghe camminate da città alta a città bassa per andare in stazione; i negozi del centro, spesso guardati solo di sfuggita per una mancanza cronica di tempo e di pecunia; la fumetteria vicino alla stazione dei treni, dove regolarmente mi rifornivo di manga.
E poi mi mancheranno le poche ma buone persone con cui ho legato veramente in sei anni di università e che, purtroppo, d'ora in poi, rivedrò raramente. Ricorderò con nostalgia le risate fatte con loro tra i banchi delle aule, la comune ricerca spasmodica dei libri, la condivisa ansia pre-esame, i consigli reciproci per affrontare al meglio i corsi, le telefonate in cerca di aiuto e di sostegno.

E so già che giovedì prossimo, una volta proclamata dottoressa, piangerò come una fontana non solo per la gioia del risultato, ma anche perché si chiuderà per sempre questo lungo e felice capitolo della mia vita.

giovedì 13 gennaio 2011

Cara MaryStar...

Mi sono imbattuta in questo video tratto dall'ultima puntata di Ballarò, dove quella simpaticona della MaryStar ha sostenuto la seguente tesi: il corso di laurea in Scienza delle comunicazioni e similia (quindi immagino finiscano nel calderone anche Lettere, Filosofia, ecc.) sono inutili e bisognerebbe favorire le conoscenze tecniche e scientifiche.

Io sono laureata in Scienze della comunicazione e attualmente sono laureanda in Comunicazione ed editoria multimediale.
Quindi avrei passato 6 anni dilettandomi nello studio di schiocchezze? Posso buttare il mio diploma di laurea direttamente nella monnezza? Non sono di nessuna utilità al sistema economico perché le aziende non se ne faranno mai niente della mia vena comunicatrice? Sono allora un essere inutile, con un bagaglio di conoscenze altrettanto inutili e non potrò mai dare il mio contributo alla crescita del PIL?
Pare che io abbia sbagliato tutto nella mia vita e non troverò mai un lavoro! Forse avrei fatto meglio a seguire il consiglio di mia mamma (ex infermiera professionale) che desiderava tanto vedermi con il camice da medico o la divisa da infermiera.
Eppure è strano perché da ottobre sto svolgendo un tirocinio dove mi occupo di creare e sviluppare strategie di comunicazione online per le imprese (toh!).

Vorrei tanto dire alla Marystar di informarsi prima di dare aria alla bocca e di annotarsi i seguenti punti:
  • innanzitutto la dicitura esatta è Scienze della comunicazione
  • una laurea può esistere solo se è funzionale alla ricerca del lavoro ed è collegata allo sviluppo delle imprese? E' sicuramente un fattore importante, ma anche la cultura generale riveste un certo peso. A meno che non si aspiri a diventare un sottoprodotto della televisione berlusconiana
  • non tutte le ragazze e i ragazzi che frequentano Scienze della comunicazione aspirano a diventare le prossime sculettanti veline di Striscia la notizia o i nuovi concorrenti dell'ennesima insulsa edizione del Grande fratello
  • lo sa che quando lei parla e scrive in qualità di Ministro dell'Istruzione sta facendo comunicazione politica e che questa è materia di studio?
  • io, tra i tanti esami dati, ho sostenuto anche economia, comunicazione pubblica e istituzionale, comunicazione aziendale. Sono insegnamenti legati al suo tanto adorato mondo dell'impresa che, senza un adeguato progetto di comunicazione, di marketing e di pubblicità, non potrebbe esistere. E' proprio sicura che i comunicatori non servano alle aziende?
  • si rende conto che la comunicazione è uno dei pilastri su cui si fonda l'impero del suo capo, alias il Banana?
  • "Questi attacchi, gratuiti e populisti, non fanno altro che denigrare il 
nostro futuro lavoro, facendosi che le aziende non paghino quanto dovuto
 per il lavoro svolto e vengano 
privilegiati laureati in economia che si occupino di marketing e in 
parte di ufficio stampa e altro" (dal post Continuano gli attacci a Scienze della Comunicazione... Stiamo tutti a guardare? di Giancarlo Camoirano)
  • ovunque, nel mondo, si sottolinea il ruolo essenziale della comunicazione, mentre in Italia sembra passare un messaggio che puzza di vecchio e stantio: l'attività manuale e fisica è il vero lavoro, mentre l'attività intellettuale è cazzeggiare
  • è consapevole che non sono solo i comunicatori a incontrare enormi difficoltà nel trovare un'occupazione, ma si tratta di un problema che assilla gli studenti di molte altre facoltà? Conosco personalmente molti architetti, geologi, letterati, linguisti, storici, economisti e filosofi precari alle prese con stage, tirocini e collaborazioni spesso sottopagati (quando va bene) o senza aver trovato un posto dal giorno della laurea. Le uniche persone che conosco e hanno un contratto a tempo indeterminato sono due mie amiche laureate rispettivamente in tecniche della riabilitazione psichiatrica e fisioterapia e i miei amici laureati in informatica. Cosa facciamo, tutti a curare i pazzi e traumi ossei oppure a programmare in C?
  • i fancazzisti non vegetano solo nelle facoltà di Scienze della comunicazione. Sono ovunque e spesso dopo il primo anno accademico mollano la barca oppure si trascinano per anni
Concludo riportando un passaggio del post di Gennaro Carotenuto, ricercatore, insegna Storia del giornalismo e dei nuovi media ed è autore di Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di Internet:
Nelle facoltà di Scienze della Comunicazione gli studenti non si preparano solo alle professioni della comunicazione di massa, d’impresa, pubblicitaria. Apprendono a pensare la comunicazione come plurale e partecipativa. Acquisiscono strumenti che permettono loro di inventare nuovi media altri. Studiano per innovare forme, tecniche e contenuti rispetto al format da pensiero unico sul quale si regge il modello. Lavorano per fare comunicazione e informazione con la propria testa e non per compiacere qualcuno.
Nel latifondo mediatico berlusconiano si fa carriera col conformismo, l’omologazione, il servilismo. La colpa dell’Università pubblica (e delle Facoltà di Scienze della Comunicazione che Gelmini vorrebbe eliminare) è di offrire strumenti per stare con la schiena dritta ed insegnare a pensare e comunicare che esistono altre vie.

giovedì 9 dicembre 2010

Come la prima volta

Malvasia


Un veloce aggiornamento dicembrino.
Innanzitutto ho messo in atto alcune cosette che vi spiegavo nel post precedente, infatti:
  1. ho fatto il mio primo prestito di 25 dollari su Kiva a favore di Cirila Nina Paucar e le sarà d'aiuto - insieme agli altri prestiti - per comprare prodotti per la cucina del suo ristorante in Perù
  2. ho adottato un coniglio (anzi, una coniglia!) a distanza tramite l'associazione La Collina dei Conigli: si chiama Malvasia, è già madre di due piccoli di nome Noà e Merlot ed ha qualche problema con i dentoni, per cui sono felice di dare il mio piccolo contributo per sistemarla anche sotto questo punto di vista. Era stata abbandonata con i due cuccioli e il compagno da una famiglia sfrattata che si è data rapidamente alla fuga lasciandoli soli in un appartamento.
Il problema è che ora non vorrei più fermarmi e vorrei:
  1. adottare a distanza una cavia sempre tramite l'associazione La Collina dei Conigli
  2. adottare a distanza un asino tramite l'ONLUS Il Rifugio degli Asinelli. Ebbene si, un asino. Mi piacciono molto. Sarà per gli ingiusti aggettivi che solitamente vengono rifilati a questo animale che, in realtà, è simpatico e intelligente. Sarà per i racconti che mio papà mi faceva da piccolina prima di addormentarmi sugli asini (Giulio e Giulietto!) che possedeva suo zio, di come si divertiva da bambino quando lo zio lo faceva salire sul carro per guidare gli asini, di come era attaccato a questi animali. Racconti che mi sono rimasti impressi nella mente e che mi riportano con nostalgia allo spensierato periodo dell'infanzia e all'agognato momento prima delle nanna solitamente trascorso con mio papà.
Oltre alle donazioni, in questi giorni mi sto dedicando completamente alla tesi e sto proseguendo (credo abbastanza bene) con il primo capitolo che devo consegnare martedì prossimo alla prof. Spero di aver scritto cose sensate ;) Incrociate le dita per me!
Ovviamente le mie letture del momento (e dei prossimi momenti, aggiungerei) sono rivolte solo ai social media e agli esami incombenti, ma martedì ho ceduto e sono andata in biblioteca dove ho preso in prestito un romanzo di Nicholas Sparks: Come la prima volta (traduzione discutibile dell'originale The Wedding. Era così difficile scrivere semplicemente Il matrimonio?!).
Devo dire: un altro bel colpo messo a segno da Nicholas Sparks.

Wilson e Jane (figlia di Noah, protagonista del meraviglioso e struggente Le pagine della nostra vita) sono una coppia sulla cinquantina come ce ne sono tante: vivono nella tranquilla North Carolina, sono sposati da molto tempo, hanno tre splendidi figli ormai fuori casa e una vita di coppia un po' spenta.

Ma giungere a questa situazione di paludosa monotonia è normale per qualsiasi coppia dopo trent'anni di matrimonio trascorsi insieme oppure c'è ancora chi, dopo anni di gioie e dolori, è in grado di rinnovare il rapporto con qualche tocco di follia, di passione e di romanticismo?
Wilson si trova di fronte a questo difficile problema, dopo essersi dimenticato del 29° anniversario di matrimonio e aver visto la tristezza e l'amarezza sul volto della moglie. Jane lo amerà ancora oppure ormai l'amore, logorato da una lunga serie di dimenticanze imperdonabili, di feste mancate e di baci non dati, sarà stato sostituito dal semplice affetto?

Wilson teme di essere diventato come una di quelle coppie per cui lui e Jane avevano sempre provato compassione: appena sedutisi al tavolo del ristorante per cena, "tra i due cala il silenzio e li vedi sorseggiare il vino guardando fuori dalla finestra, in attesa delle portate. Quando poi queste arrivano, a volte i due si rivolgono brevemente al cameriere, ma tornano subito a rifugiarsi nei loro mondi. E per tutta la cena restano lì come un paio di perfetti sconosciuti ai quali è capitato di sedersi allo stesso tavolo, quasi che il godimento della reciproca compagnia non valesse le sforzo di parlare".

C'è qualcosa che Wilson può fare per invertire la rotta e recuperare la complicità e la passione di un tempo? Sicuramente si e da timido orso calcolatore qual'era, Wilson riuscirà a recuperare il rapporto con la sua amata Jane e a stupirla lasciandola senza fiato con un finale veramente col botto, su cui versare tante lacrime e riporre i nostri sogni romantici.

Malvasia

A quick update.
First of all I have to tell you that I've accomplished some things described in the previous post:
  1. I made my first loan on Kiva in aid of Cirila Nina Paucar for the kitchen of her restaurant in Perù
  2. I adopted at distance a rabbit through the Italian association La Collina dei Conigli: her name is Malvasia, she's the mother of Noà and Merlot and she has some problems with her teeth
The problem is that I'd like also to adopt at distance:
  1. a guinea pig always throught the association La Collina dei Conigli
  2. a donkey through the association Il Rifugio degli Asinelli
Besides that, I'm focusing completely on my thesis and next Tuesday I'm going to give the first chapter to my thesis director. Cross your fingers for me!
So, in this period, I'm just reading books about social media and for the next exams, but last week I gave in to the temptation of reading a novel so I went to the local library where I borrowed The Wedding by Nicholas Sparks, which I liked it a lot.

Wilson e Jane (the daughter of Noah, the main character of the wonderful The Notebook) are a couple about fifty like many others: they live in the peaceful North Carolina, they have been married since a long time, they have three amazing children who live outside home and a dull conjugal life.

After he has forgotten their 29° wedding anniversary, Wilson wonders if it's a normal thing for every couple in this world to become monotonous partners after almost 30 years spent together or if there's a way to relight a tired relationship. Maybe all his mistakes, his forgetfulness and his obsession with his job have destroyed his marriage and he has become a huge disappointment for Jane. Maybe she doesn't love him anymore.

He fears they have become like one of those couples that you can often see at the restaurant: "The husband might pull out a chair or collect the jackets, the wife might suggest one of the specials. And when the waiter comes, they may punctuate each other's orders with the knowledge that has been gained over a lifetime-no salt on the eggs or extra butter on the toast, for instance.
But then, once the order is placed, not a word passes between them.
Instead, they sip their drinks and glance out the window, waiting silently for their food to arrive. Once it does, they might speak to the waiter for a moment - to request a refill of coffee, for instance - but they quickly retreat to their own worlds as soon as he departs. And throughout the meal, they will sit like strangers who happen to be sharing the same table, as if they believed that the enjoyment of each other's company was more effort than it was worth. Perhaps this is an exaggeration on my part of what their lives are really like, but I've occasionally wondered what brought these couples to this point."

Is there anything that Wilson can do to change the situation and improve the relationship with her beloved Jane? Of course there's something he can do: he will be a shy clumsy person no more and will leave her wife breathless.
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